Insediamento indigeno/Contrada civita

L’antico centro indigeno comunemente indicato come di contrada Civita si estendeva su un pianoro basaltico delimitato ad ovest dalla valle del Simeto e sugli altri lati da una serie di alture. Oggi ricade nei comuni di S. Maria di Licodia (contrada Montalto-Cicero) e Paternò (contrada Civita), il cui confine è costituito dalla SP 229/II che collega i due Comuni.


L’insediamento è stato spesso identificato, senza tuttavia alcuna conferma, con l’antica Inessa-Aitna, la città che, secondo Tucidide, si trovava lungo la strada tra Catania e Centuripe e in cui, secondo Diodoro Siculo, nella seconda metà del V secolo a.C. si rifugiarono i seguaci di Ierone I di Siracusa, dopo essere stati cacciati da Catania alla morte del tiranno.

Contrada Civita, fotografia aerea. L'area oggetto di scavo è il terreno incolto a sinistra dentro il perimetro urbano

L’abitato

L’area dell’antico abitato appare delimitata dai resti della cinta muraria il cui tracciato si è conservato per buona parte fino ad oggi. Essa è costituita da un paramento di blocchi lavici non squadrati a doppia cortina, riempita con pietrame minuto, ed è intervallata da torri di forma semicircolare.

Si tratta di una tipologia di fortificazione abbastanza diffusa nei centri indigeni ellenizzati della Sicilia e che trova un confronto prossimo con le mura del vicino centro indigeno del Mendolito di Adrano. In assenza di scavi sistematici si può ipotizzare una datazione del sistema difensivo in età arcaica proprio per il confronto con quello del Mendolito, simile per tecnica e materiali e datato al VI secolo a.C. 

Oggi la cinta si mostra in cattivo stato di conservazione per la condizione di abbandono in cui versa l’area e per l’utilizzo a pietraia che spesso ne hanno fatto i contadini della zona.

All’interno della cortina muraria gli scavi archeologici hanno portato in luce alcune abitazioni costituite da uno o più vani fra loro non comunicanti databili al V e alla prima metà del IV secolo a.C. Dall’analisi dei dati raccolti il primo scavatore, Giovanni Rizza, ipotizzò che la città, le cui fasi di vita più antiche vanno collocate in età arcaica, fu completamente distrutta nella seconda metà del IV secolo a.C. da un terremoto e definitivamente abbandonata.

L’antico centro indigeno di Santa Maria di Licodia
Santa Maria di Licodia. Contrada Montalto-Cicero. Braccio nord-est della cinta muraria, al di sopra torre piezometrica di età moderna.
L’antico centro indigeno di Santa Maria di Licodia
L’antico centro indigeno di Santa Maria di Licodia
Contrada Montalto-Cicero. Area dell’antico centro abitato.
Casa 2 (scavi 1995)

La necropoli meridionale

All’esterno della cinta meridionale si estendeva la necropoli meridionale di cui furono fortuitamente individuate una ventina di sepolture i cui corredi furono recuperati da Giovanni Rizza.

Si trattava prevalentemente di tombe a fossa rivestite di muretti e coperte da pietrame, con il defunto deposto sulla terra o su lastroni litici o tegoloni accostati, anche se non manca il tipo “a cappuccina” (tombe con copertura costituita da tegole o mattoni spioventi), datate nel VI e agli inizi del V secolo a.C. Prevale il rito dell’inumazione, ma in alcuni casi sembra ci fossero sepolture ad incinerazione con i resti della cremazione deposti dentro un vaso.

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MOSTRA VIRTUALE – Santa Maria di Licodia
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